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I collaboratori di un’azienda hanno un ruolo centrale nel guidare l’esperienza del cliente, lo sappiamo bene. Lo viviamo in prima persona:
- quando al supermercato sotto casa ci salutano chiamandoci per nome
- quando ripetiamo 3 volte la stessa problematica ad un operatore di un call center
- quando ci sentiamo giudicati da un nostro fornitore per richieste che riteniamo legittime
- quando al ristorante ricordano il dolce che avevamo tanto amato l’ultima volta.
L’aspetto affascinante dell’equazione EX ➟ CX è che genera un impatto in entrambi i sensi, producendo un effetto “loop” che si autoalimenta. Non solo un collaboratore che si sente coinvolto e motivato dalla sua azienda sarà in grado di progettare ed erogare le migliori esperienze al cliente, ma anche il feedback positivo ed entusiasta del cliente alimenta la motivazione e la percezione di senso del proprio lavoro nei collaboratori dell’azienda.
Da una ricerca realizzata su un campione di oltre 1000 persone emerge come la percezione di “senso” del proprio lavoro sia strettamente correlato all’interazione diretta col Cliente: il 74% di coloro che operano a stretto contatto con il Cliente percepiscono il proprio lavoro “ricco di senso”, mentre solo il 56% delle persone con ruoli che non prevedono un’interazione diretta dichiara lo stesso tipo di percezione. L’interazione umana è quindi un fattore protettivo del benessere perché direttamente connesso al “perché” delle nostre azioni e al loro impatto.
Inoltre, generare valore per il Cliente finale è un potente strumento di loyalty dei collaboratori: nella stessa ricerca leggiamo che l’83% delle persone che sentono di lavorare per un’azienda che ha come priorità la soddisfazione del Cliente sono verosimilmente sicuri che rimarranno nella stessa azienda nei prossimi due anni, mentre la percentuale di coloro che non sentono questa priorità nelle strategie della propria azienda scende al 56%.
Ma la formula non finisce qui. Recenti studi mettono in evidenza la correlazione anche con un altro elemento: EX ➟ CX ➟ Aumento dei profitti. Dimostrare in modo misurabile questo nesso causale è tutt’altro che semplice, ma è stato fatto. E il risultato è che il nesso non solo c’è, ma è anche estremamente significativo!
Una ricerca realizzata in un‘azienda del settore retail negli Stati Uniti e pubblicata dalla Harvard Business Review, incrociando i dati finanziari con i dati di “Employee Experience- EX” (ore di formazione erogata, continuità di rapporto di lavoro, stabilità contrattuale, rotazione interna, ecc.) dimostra come i punti vendita con un maggiore indice di EX ottengono un fatturato e un margine per ora lavorata superiore di più del 50% rispetto ai punti vendita con un indice inferiore.
Certo sappiamo che questi dati sono relativi ad un’azienda retail in cui la relazione diretta fra collaboratori e clienti rappresenta una parte significativa del valore generato, ma è anche vero che questo tipo di interazione umana di valore rappresenta sempre di più un elemento di vantaggio competitivo anche per molte aziende B2B, in cui la capacità di esplorare e comprendere le dinamiche organizzative del cliente è ancora più importante e in cui le attività di supporto pre e post vendita sono fattori determinanti il successo di un progetto.
Quali sono però i fattori di Employee e Customer Experience da misurare? L’impatto in termini di fatturato è prevedibile quando si progetta un’azione sulla Employee Experience o può essere solo misurato a posteriori? Ma soprattutto, i nostri sistemi permettono di integrare trasversalmente le informazioni, superando la logica di silos con cui normalmente questi dati vengono gestiti?
Rispondere a queste domande richiede una riflessione profonda e trasversale nell’organizzazione. La mancanza di questa misurazione oggi “pesa” sulla capacità di valorizzare e sostenere negli uffici HR investimenti e attività specifiche per migliorare l’esperienza che i dipendenti delle aziende vivono nella loro vita lavorativa. Pensate l’effetto che farebbe una proposta di un programma di formazione, o un sistema di welfare, o l’integrazione di forme di lavoro “ibrido” se legate anche a KPI di impatto sul volume di fatturato o sulla produttività per ora lavorata.
Certo sappiamo che queste sono alcune delle leve, insieme ad altre, ma usarle nel modo più efficace è una responsabilità strategica che è arrivato, finalmente, il momento di affrontare.