Sostenibilità e greenwashing: trappole e linee guida

Rossella Sobrero guida le imprese a non cadere nel rischio di perdere la fiducia degli stakeholder attraverso una comunicazione poco trasparente.

Tempo stimato di lettura: 11 minuti

A cura di Maria Carla Lombardi, Senior HR Consultant & ESG Sustainability Advisor e Daniela Patruno, Consulente Marketing - PRAXI

Il tema della sostenibilità è sempre di più al centro delle strategie organizzative e preme l’acceleratore su sfide che, rispetto al passato, sono diventate prioritarie; sulla capacità di affrontare in maniera trasversale tutti gli aspetti ambientali, sociali e di buona governance si gioca la sopravvivenza delle imprese nel lungo termine. Come in qualsiasi relazione, il tema della comunicazione delle proprie azioni e dei percorsi scelti è un elemento strategico fondamentale, per quanto le imprese possano essere aderenti alle normative così come alle richieste degli stakeholder.

Per non essere accusate di <greenwashing> (secondo Treccani “strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo”), le organizzazioni devono comunicare in modo trasparente, chiaro e corretto le strategie e le azioni di sostenibilità, anche perché sottoposte in misura crescente al giudizio degli stakeholder.

La sostenibilità sta a cuore ai consumatori, ai dipendenti e a tutta la filiera, la cui soddisfazione è parte integrante di un piano strategico di successo. I consumatori, per esempio, sono generalmente disposti a costi più elevati, se il prodotto rispetta alcuni valori di sostenibilità. In alcuni casi è stato proprio l’impegno di imprese sostenibili a stimolare la crescita di consapevolezza e la conseguente attenzione dei consumatori: un processo culturale eco-ambientale accelerato soprattutto dalle giovani generazioni. I dipendenti sono più motivati se lavorano in un contesto che è aderente al purpose e rispetta i valori condivisi anche in rapporto ai tre pillar ESG (Environmental, Social, Governance). Un richiamo improprio ad azioni di valorizzazione sostenibile non supportate da dati e fatti concreti può costituire pertanto un pericoloso boomerang comunicativo, soprattutto nell’era dei social. Anche la strategia del silenzio, per contro, può essere controproducente: non comunicare nulla può generare l’idea di un’assenza di azioni sostenibili da parte dell’impresa e minarne la reputazione.

L’argomento non comprende soltanto il tema ambientale, ma include altre aree <x-washing>: la parità di genere (pinkwashing e rainbow washing), i temi sociali (woke washing, blackwashing), lo sport (sport washing).

Occorre quindi comunicare, e farlo bene. Tra i numerosi libri scritti da Rossella Sobrero[1],  <Verde, anzi verdissimo>, pubblicato a giugno del 2022, ripercorre la nascita e l’affermarsi del termine greenwashing, ne spiega e commenta la pericolosità per la reputazione delle imprese e fornisce una serie di impegni normativi, regole d’oro da rispettare e soprattutto idee per fare della trasparenza un valore strategico che si trasformi in fiducia e fidelizzazione da parte degli stakeholder.

La lettura del libro ha stimolato alcune ulteriori domande, cui Rossella ha accettato di rispondere.


Consumatori e dipendenti sono attori che detengono un potere di influenza indiscutibile: possono premiare, sostenere o boicottare aziende x-washing. Quali comportamenti virtuosi devono agire le aziende per ingaggiarli e garantire trasparenza, aumentare la loro fiducia e la loro partecipazione attiva al raggiungimento dei risultati, non solo di sostenibilità, che l’azienda si pone?

I dipendenti possono subire effetti negativi nel caso in cui l’impresa venga accusata di greenwashing. E quindi possono essere interessati ad assumere il ruolo di “controllori” del comportamento dell’azienda in cui lavorano. Anche se la loro voce rischia di essere considerata poco influente, possono comunque scoraggiare l’impresa ad adottare comportamenti non del tutto corretti.

I consumatori sono diventati sempre più diffidenti: per questo molte imprese sono diventate più caute nel comunicare l’impegno sociale e ambientale. E in alcuni casi decidono di adottare strumenti utili a fornire dati e informazioni per seguire tutto il percorso di un prodotto o di un servizio. Il tema della fiducia degli stakeholder è centrale per rafforzare la reputazione dell’organizzazione e migliorare il valore dei suoi asset intangibili.

Quali saranno gli effetti delle nuove normative in realtà di medie dimensioni, che a breve dovranno rispondere ad una serie di requisiti e produrre documenti di rendicontazione puntuali, pur non avendo maturato a pieno una conoscenza appropriata dei temi di sostenibilità?

La nuova Direttiva europea sulla rendicontazione societaria di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD) obbligherà tutte le imprese di grandi dimensioni e le PMI, escluse le microimprese, a includere nella relazione sulla gestione economico finanziaria informazioni utili a comprendere come le scelte responsabili influiscono sull’andamento dell’impresa e sui suoi risultati. Per molte organizzazioni sarà un problema perché non sono ancora pronte a gestire un processo di rendicontazione strutturato. Bisognerà aumentare l’offerta formativa per consentire anche a queste imprese di arrivare preparate alla scadenza imposta dall’Europa.

Le competenze degli stakeholder in ambito sostenibilità non sempre sono adeguate o del tutto mature; quale è il ruolo della formazione dei singoli e nelle organizzazioni per raggiungere adeguati livelli di consapevolezza? La premialità dei comportamenti virtuosi, con meccanismi che spaziano da soluzioni di remunerazione dedicate a riconoscimenti pubblici di buone azioni di sostenibilità, possono essere strumenti ingaggianti e adeguati in logica di upskillig?

Come dicevo la formazione ha un ruolo molto importante in questa fase di transizione ecologica. Una formazione che deve partire dalla scuola e dall’università, ma che deve coinvolgere anche le imprese che devono aggiornare e riqualificare i propri collaboratori. È necessario prevedere un insieme di attività che dovranno vedere in prima linea le istituzioni ma anche le associazioni di categoria, gli enti non profit, le organizzazioni di rappresentanza.

In generale la premialità può essere uno strumento incentivante, ma le persone e le organizzazioni saranno spinte al cambiamento da un mercato in rapida evoluzione che richiede saperi e competenze diverse rispetto al passato.

Essere sostenibili al 100% è molto difficile e non sempre le azioni delle imprese in ambito sostenibilità hanno risultati di successo. Qual è il comportamento più corretto nei confronti degli stakeholder in caso di non raggiungimento degli obiettivi prefissati?

È necessario raccontare non solo i successi ma anche le difficoltà affrontate e gli obiettivi che non sono stati raggiunti. In questo modo aumenta la consapevolezza che la sostenibilità è un “percorso” che si sviluppa nel tempo. Per fortuna molte organizzazioni hanno capito che la mancanza di coerenza tra il dichiarato e l’agito porta un calo di credibilità con conseguenze gravi anche sul piano economico. 

Intraprendere una strada di eco-sostenibilità può generare anche opportunità e sviluppo. In quale modo Manager, Associazioni e filiere possono intervenire per rendere maturi e consapevoli i diversi settori industriali in cui agiscono, anche in una logica di condivisione di processi virtuosi che facciano da effetto domino sull’economia nel suo insieme?

Solo il dialogo, il confronto, la collaborazione tra i diversi attori sociali consentono un reale miglioramento del sistema in una logica di maggior impegno per la dimensione sociale e ambientale non solo economica.  Sono convinta che è importante rendere le persone consapevoli del ruolo che ognuno gioca nel percorso verso uno sviluppo sempre più sostenibile: per raggiungere questo obiettivo la formazione deve essere considerata una priorità.


[1] Rossella Sobrero è presidente di Koinètica, membro del Consiglio Direttivo di Sustainability Makers – the professional network. Dal 2005 organizza il Salone della CSR e dell’innovazione sociale. È docente di Comunicazione sociale e istituzionale all’Università degli Studi di Milano e di Marketing non convenzionale all’Università Cattolica di Milano.

 

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