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«Le tecnologie del metaverso, attraverso la combinazione di molteplici elementi, tra cui la realtà virtuale (VR) e la realtà aumentata (AR), permetteranno a tutti noi di “vivere” all’interno di un universo digitale 3-D e di partecipare a qualunque situazione (concerti, conferenze, viaggi virtuali) in ogni momento e in qualunque luogo nel mondo.»
Questa è la visione di Mark Zuckerberg, CEO di Meta (ex-Facebook), che sostiene che in 5-10 anni il metaverso sostituirà la rete per come la conosciamo oggi, dichiarando con sicurezza che la nuova piattaforma trascinerà l’utente in un’esperienza immersiva totalizzante.
In attesa di scoprire se il metaverso assumerà davvero le dimensioni auspicate dai suoi sostenitori, possiamo comunque osservare l’impatto che ha avuto sul nostro modo di lavorare durante la recente crisi pandemica. La clamorosa intensificazione dell’utilizzo di strumenti digitali e le modificazioni radicali delle abitudini comportamentali delle persone hanno provocato effetti stra-ordinari: in due anni abbiamo accelerato esponenzialmente la de-strutturazione del nostro modo di abitare spazio e tempo lavorativi (ed anche privati).
Superata la prima fase di disorientamento e stress, siamo riusciti ad acquisire nuove abilità e competenze per la gestione dell’intreccio contestuale delle dimensioni fisica e digitale (phygital), perlomeno in quelle attività e situazioni a cui l’emergenza sanitaria ci ha costretti.
Infatti, al di là della regolamentazione normativa ancora in fase di perfezionamento, abbiamo di fatto “sdoganato” lo smart/home/hybrid working, i web meeting, il distance learning e anche i caffè e gli aperitivi online. Catapultati oltre gli spazi fisici e oltre il concetto di tempo per come lo avevamo sempre inteso, oggi siamo “naturalmente” onlife. Certo, qualche momento di senso di alienazione o sentimento di nostalgia per il pre-phygital c’è ancora, ma la situazione, il cigno nero direbbe Nassim Taleb(1), ci ha costretti di fatto ad un’evoluzione obbligata ed irreversibile.
Le Imprese, che già pre-covid operavano in un contesto VUCA (volatility, uncertainty, complexity and ambiguity) hanno forzatamente introdotto in azienda anche la dimensione phygital, che ha ulteriormente spostato confini, modificato paradigmi, cambiato i modelli organizzativi.
Metaverso, contesto VUCA, “vecchi” lavori che spariranno e “nuovi” lavori che nasceranno nei prossimi 5-10 anni: una trasformazione radicale, rapida, pervasiva nella quale dobbiamo domandarci quali siano i fattori critici di successo che permettono di cogliere il lato positivo di questo cambiamento. Il più importante, a detta di molti, sembra essere la capacità del management delle aziende di navigare contesti sempre più “liquidi”, garantendo comunque di saperne cogliere le opportunità e di valutarne i rischi.
E così le Organizzazioni insieme agli esperti HR stanno rielaborando i modelli di leadership in funzione delle competenze che oggi – e domani – il management deve e dovrà necessariamente possedere.
E dunque quali sono queste competenze? Le più importanti, quelle che ogni manager deve saper mettere in campo per essere di ispirazione e guida in un contesto così mutevole e a tripla velocità? Il World Economic Forum le suddivide in 4 ambiti: problem solving, self-management, working with people, technology use and development. Si potrebbero citare anche altri elenchi o liste di autorevoli Organizzazioni o Enti, ma la nostra esperienza quotidiana all’interno delle aziende clienti, con strutture più o meno complesse, ci permette di poter affermare che per ottenere i risultati attesi i manager dovranno far ricorso a capacità di:
- analisi e visione attraverso la lettura non solo dei numeri ma anche di KPI qualitativi, i veri indicatori del perché dei fenomeni
- analisi e semplificazione per snellire e velocizzare procedure e processi
- analisi ed innovazione, intesa come capacità di ri-orientare gli investimenti rivedendo, se necessario, il processo di valutazione delle priorità, delle modalità di scelta e di monitoraggio del ROI.
È sempre più evidente, però, come il successo di un’Organizzazione sia correlato con le competenze dei propri manager di apprendere in modo continuo e della loro capacità di trasferire puntualmente le informazioni a tutto il team e all’intera struttura. È già cambiata infatti la modalità di gestione delle persone, sempre più responsabili e responsabilizzate e sempre più orientate ad un lavoro di cui riescano a comprendere il perché. Il diverso concetto di luogo di lavoro e orario lavorativo, la sempre maggiore pervasività tecnologica, la coesistenza in azienda di varie generazioni di lavoratori che presentano differenti sensibilità, competenze e aspettative richiedono infatti la capacità di saper davvero mettere gli individui al centro dei processi aziendali.
Ecco quindi che stanno evolvendo gli ambiti di learning e coaching, e dunque l’allenamento delle competenze, dove oggi trovano ampi spazi di applicazione l’intelligenza artificiale e le neuroscienze. Esistono infatti piattaforme virtuali dedicate ai processi di assessment comportamentale (in parte supportati da “prove” phygital e da valutazioni basate su sofisticati sistemi di intelligenza artificiale) e altre in cui le neuroscienze contribuiscono ad indicare le modalità per allenare alcune competenze manageriali, affinché il cervello le faccia proprie e ce le riproponga con un grado di spontaneità sempre maggiore, interiorizzando così il comportamento efficace desiderato.
Allo stesso modo si stanno anche modificando gli strumenti che utilizzano le società di selezione del personale, come l’analisi semantica del cv (documento oggi ancora in uso, ma fra qualche anno chissà…), la scansione delle espressioni facciali durante il colloquio per valutare le emozioni, il ricorso a tecniche di gamification per indagare le attitudini.
Quello che è chiaro è come oggi ci sia richiesto di essere più veloci nel cogliere l’essenza delle situazioni, nell’analizzarne e valutarne gli effetti, nel pensiero critico costruttivo, nell’azione; il tutto spesso in assenza di elementi o dati completi ed in condizioni di pianificazioni in continuo cambiamento.
Nel mondo sempre più digitale impareremo a digital-giocare e virtual-imparare.
Da un lato, quindi, dovremo essere flessibili per imparare a lavorare in un mondo sempre più digitale, sociale e tecnologico, e dall’altro dovremo prenderci cura delle nostre competenze comportamentali, le cosiddette soft skills. Sarà fondamentale che ognuno immagini il proprio futuro professionale avendo consapevolezza delle capacità che possiede e degli schemi mentali che si è creato nel tempo – euristiche che a volte aiutano e a volte penalizzano.
Alla tradizionale domanda “cosa ho imparato oggi?” nessuno potrà più permettersi di non rispondere. È dunque necessario che ognuno disegni un piano di azione individuale per allenare le proprie competenze e monitorarne l’accrescimento, sia attraverso strumenti di autosviluppo che momenti di formazione focalizzata e personalizzata.
Nel phygital working world tutti dovremo necessariamente imparare digitalgiocando e giocare virtualimparando, consapevoli che cose stra-ordinarie stanno accadendo ed accadranno.
Con o senza di noi.
(1) Nassim Nicholas Taleb, Il cigno nero, Il Saggiatore 2014 (1a edizione originale 2007)