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La trasformazione digitale e la pandemia hanno accelerato una serie di evoluzioni che avevamo già imparato ad osservare, mettendo gradualmente in crisi quei modelli e paradigmi “tradizionali” che a lungo hanno funzionato nelle organizzazioni. Lavoro ibrido, gruppi collaborativi e diffusi, activity-based working e flessibilità dei tempi sono solo alcuni dei macro-trend che ci ricordano che la nostra quotidianità è cambiata, ed è probabilmente destinata a farlo ancora. Alla base vi è il paradigma del lavoro “per obiettivi”: un modello di leadership e collaborazione basato sul principio dell’autonomia condivisa.
Sembra un concetto quasi naturale, ma questo paradigma sta muovendo due esigenze fondamentali: da un lato dotarsi di un modello gestionale e strumenti che permettano il monitoraggio dei risultati, dall’altro sintonizzare la propria cultura organizzativa con un approccio basato sulla fiducia e sul riconoscimento alle persone e ai Team di una maggiore e autonomia a fronte di una responsabilizzazione sui risultati.
In quest’ottica, le organizzazioni e le funzioni HR hanno iniziato a domandarsi come fare per rendere i propri processi più digital, innovativi e up to date, per accompagnare e guidare questi cambiamenti. I dati però ci suggeriscono che, per navigare i cambiamenti, talvolta non è sufficiente “modernizzare” il pregresso, ma occorre trasformare.
Sotto i riflettori di questa discontinuità c’è sicuramente il modello di performance management, che punta a migliorare la qualità del lavoro, creare impatti di business e motivare le persone ad esprimere fino in fondo il proprio contributo. Gli approcci tradizionali, per lo più incentrati sui processi di performance review o performance appraisal e non sul più ampio concetto della gestione della performance, si sono infatti dimostrati, anche in passato, poco efficaci da questo punto di vista.
Come mai? La valutazione annuale, l’utilizzo di metriche e di indicatori sintetici, i rating, i criteri standardizzati e così via hanno distolto l’attenzione dallo scopo vero del processo – ovvero chiarire le aspettative, promuovere il miglioramento continuo e ispirare i collaboratori a dare il meglio di sé – ponendo invece l’accento sul concetto di “misurazione”, che ha finito per dare alle persone la percezione di venire essenzialmente giudicate, valutate, misurate su una scala e in base a una serie di criteri.
I limiti dei sistemi tradizionali erano quindi già evidenti prima della pandemia. Non stupisce a questo punto che solo una piccola parte delle persone (il 14% secondo Gallup) credeva nel 2018 che le performance review che riceveva li ispirassero a migliorare e a dare il meglio di sé, mentre una proporzione quasi altrettanto limitata (2 su 10) si diceva convinta dell’impatto effettivo delle stesse sulla motivazione.
Stando a Gartner, l’81% delle direzioni HR stava considerando di modificare i processi di gestione della performance già nel 2019, interrogandosi su come renderli più utili, percentuale che l’anno successivo mostrava già un incremento (87%) secondo i dati della stessa società di consulenza.
Tali percezioni hanno portato alcune organizzazioni a chiedersi se fosse addirittura necessario avere dei veri e propri sistemi di valutazione, finendo, in alcuni casi, per abolirli. Il risultato? Un calo sistematico delle performance e dell’engagement (circa 10%), oltre che una diminuzione della qualità e della durata delle conversazioni informali.
Insomma, un dilemma noto agli esperti del settore che si sono dimenati per trovare soluzioni creative per introdurre un modello di performance davvero utile all’organizzazione.
Cosa invece nei modelli tradizionali è sempre più criticato?
Gli elementi che suggeriscono la necessità di ripensare i processi di gestione della performance sono molteplici. L’elasticità e l’agilità delle organizzazioni odierne, in cui gli attori protagonisti (manager, persona, gruppo di lavoro) si moltiplicano, i livelli organizzativi si riducono e il lavoro in team si fa meccanismo di funzionamento paradigmatico, impongono il ricorso a sistemi di performance management che siano non solo men o rigidi, burocratici e “a taglia unica’, ma anche e soprattutto in grado di superare la tradizionale logica manager-centrica a favore di una maggiore partecipazione e co-responsabilità e di decisioni “su misura” che si adattano al naturale ciclo del lavoro.
Quelli che oggi vediamo come modelli superati, in quanto “orientati alla prestazione dell’anno passato” e spesso vissuti come “voto in pagella”, rispondevano in realtà all’esigenza di stabilire obiettivi a lungo raggio in contesti economici relativamente più prevedibili rispetto a quelli in cui navighiamo. A queste esigenze, che nel frattempo sono cambiate, in quanto gli obiettivi sono diventati più a breve termine, si è aggiunta la necessità di avere processi su orizzonti temporali più flessibili, per reagire efficacemente all’imprevedibilità, e in cui il focus è su come prepararsi al futuro.
Più che versioni “alternative” o “attualizzate” dei più noti meccanismi di performance review, i nuovi sistemi di gestione della performance sono approcci capaci di andare oltre il momento di valutazione e includere tutte le attività “collettive” di pianificazione, coordinamento e monitoraggio di cui le organizzazioni necessitano per realizzare i propri scopi. Potremmo infatti adottare l’etichetta di continuous performance management, per definire quei modelli che funzionano, non solo perché si basano sulla semplificazione del sistema e sulla riduzione di burocrazia e complessità, ma anche perché introducono attività collaborative che ne aumentano l’utilità e li rendono adatti ai contesti di discontinuità, dove è necessario invertire le priorità ormai con una certa frequenza.
Come possiamo riconnettere il processo di performance management al suo scopo? Questa è la domanda a cui le autrici cercheranno di rispondere negli articoli pubblicati su A dot Forward “Requisiti dei modelli di gestione della performance” e “Golden rules per disegnare modelli di performance management”, in cui verranno messe a disposizione le pratiche che hanno visto funzionare e le lesson learned.