Piero Pellizzaro

Intervista a Piero Pelizzaro: CRO – Chief Resilience Officer

Piero Pelizzaro ha 10 anni di esperienza nelle politiche di cambiamento climatico e nella pianificazione della resilienza urbana. Attualmente è Chief Resilience Officer di Milano […]

Piero Pellizzaro

Tempo stimato di lettura: 22 minuti

Piero Pelizzaro ha 10 anni di esperienza nelle politiche di cambiamento climatico e nella pianificazione della resilienza urbana. Attualmente è Chief Resilience Officer di Milano e City Lead per il progetto H2020 Lighthouse Sharing Cities presso il Comune di Milano. È consulente del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare per le politiche di adattamento urbano ai cambiamenti climatici.

Si è inoltre specializzato in resilienza urbana, contabilità economica ambientale, scenari energetici e modelli di impatto dei cambiamenti climatici attraverso la sua esperienza di lavoro presso lo Stockholm Environment Institute – Tallinn Office. Scrive per diverse riviste specializzate e portali web sui cambiamenti climatici.

1. Quali scelte, di studio e professionali, hai dovuto affrontare per ricoprire il tuo ruolo attuale?
Diventare Chief Resilience Officer della città di Milano è stato un traguardo molto importante, raggiunto dopo non poche sfide e sacrifici. Un ruolo che comporta onori, ma anche tante responsabilità. Sicuramente il primo ingrediente per riuscire in questo percorso è stato la curiosità: quella voglia costante di scoprire, di entrare in contatto con nuove realtà, aprirsi alle diverse culture e non smettere mai di ascoltare ed imparare. Questo sicuramente, insieme ad un pizzico di intraprendenza, è stato l’elemento chiave che, dopo la laurea in economia, mi ha portato ad approfondire e ad interessarmi con sempre maggiore interesse alle tematiche ambientali e, in particolare, alla Resilienza di cui sono oggi portavoce per Milano.

Un percorso professionale costellato da varie esperienze spesso profondamente diverse tra loro, in imprese private, centri di ricerca, ONG e portali d’informazione. Un curriculum di lavori con uno sguardo globale, sempre pronto al confronto tra diversi Stati e culture.

2. Cosa distingue il tuo lavoro dalle professioni “tradizionali”?
La mia è una figura sicuramente innovativa per il contesto milanese (ed italiano): sono ad oggi l’unico CRO (Chief Resilience Officer) in Italia ed uno degli 83 nel mondo. Esisteva un CRO a Roma, ma al momento questa figura non è più presente all’interno dell’organigramma della Capitale. Altre città stanno attivando questa figura professionale all’interno del loro organico in quanto chiave di lettura dei complessi meccanismi del presente. Essere a capo della resilienza cittadina è infatti un ruolo chiave che rappresenta un ponte a favore non solo dell’ambito pubblico, ma anche di quello privato.

Alla base del mio lavoro e di quello di tutto il team c’è la gestione del rischio, elemento che purtroppo in entrambe le sfere (pubblico e privato) è ancora trattato marginalmente. Al giorno d’oggi risulta un passaggio fondamentale da integrare nell’amministrazione e ne sono la prova le varie crisi affrontate in questi anni, non ultima l’emergenza COVID-19. La pandemia è infatti l’emblema di un avvenimento prevedibile, ma non pensabile che, se gestito con i giusti strumenti e con un tempismo celere, può essere contenuto e arginato sia in termini di espansione che di danni sulla comunità.

Sicuramente, alle sfide quotidiane che ogni giorno il Comune di Milano e le varie Direzioni prendono in carico, per me si aggiunge la difficoltà aggiuntiva del dover comunicare e convincere colleghi e cittadini dell’importanza e dell’urgenza delle politiche ambientali nel 2020. Solo cambiando il proprio punto di vista è possibile adottare veramente dei comportamenti resilienti, per noi stessi ma anche per la comunità che ci circonda.

Ah, e ovviamente, si aggiunge anche il dover spiegare il venerdì sera al bar cosa sia un Chief Resilience Officer (spesso dopo il secondo bicchiere).

3. Quali sono le competenze hard e soft necessarie per svolgere il tuo lavoro?
Oggigiorno ed in particolare per questo tipo di ruoli risulta sempre più importante essere ‘versatile’ su diversi contesti e varie tematiche. Cito a tal proposito le sette caratteristiche chiave di un sistema resiliente che per rispettare tale dicitura deve essere riflessivo, robusto, ridondante, flessibile, pieno di risorse, inclusivo ed integrato. Tali peculiarità possono essere applicate anche oltre i meccanismi della comunità: è importante far proprie tali caratteristiche anche negli individui, in particolar modo per chi è interessato a seguire un percorso simile al mio. Mi piace vedere tutto il sistema come un prodotto innovativo dove la resilienza rappresenta l’hardware, la smart city il software di riferimento ed i singoli le diverse funzionalità che mantengono in vita il sistema.

Questo ovviamente non vuol dire conoscere ogni argomento o qualsiasi tipo di software, ma piuttosto essere aperti sempre e comunque all’apprendimento, nonostante ogni tanto gli strumenti che ci troviamo ad utilizzare non siano strettamente legati al nostro background. Inoltre serve sicuramente esperire ed entrare in contatto con metodologie innovative, data la natura innovativa delle sfide che le città si trovano ad affrontare. Processi e metodi ‘standard’ non sono più adatti a rispondere a quelle che vengono chiamate in inglese ‘wicked problems’, ossia questi problemi complessi ed interconnessi che sempre più si presentano ai giorni nostri.

Per quanto mi riguarda, ho maturato varie esperienze nei percorsi di partecipazione per il design e l’implementazione delle politiche pubbliche con approcci aperti e collaborativi, frutto di nuove discipline come il co-design. Serve sviluppare durante il proprio percorso delle solide capacità relazionali e comunicative, che permettano di coordinare bene un team di lavoro, cercando di costruire nel corso degli anni un proprio metodo di problem solving, adattabile a diversi contesti e sfide.

Sarà fondamentale che nei prossimi anni ci siano degli specialisti per consigliare le aziende a muoversi in direzione di una maggiore resilienza ambientale, sociale ed economica.

4. Quale percorso di studi suggeriresti ad uno studente che intenda ricoprire il tuo stesso ruolo nel prossimo futuro? In generale, quali consigli daresti?
Sono fermamente convinto che non esistano percorsi giusti o sbagliati. Credo soprattutto che se durante il proprio percorso di apprendimento si delinea davanti ad ognuno di noi un obiettivo professionale specifico, ci sia sempre un modo per raggiungerlo se spinti da curiosità e intraprendenza. Come detto, credo che questi siano i due elementi imprescindibili per andare avanti ed accettare i sacrifici durante il tragitto.

Sicuramente risulta fondamentale acquisire un approccio internazionale, aperto e inclusivo, punto di vista che spesso si riesce ad adottare solo con esperienze a stretto contatto con culture diverse. Per varie professioni questo risulta oggi essere il requisito di accesso fondamentale. Realtà come la nostra sono infatti ormai caratterizzate da team multidisciplinari, dove ognuno porta sul tavolo le proprie conoscenze attivando un meccanismo di lavoro integrato a completamento delle conoscenze mancanti. I percorsi di partenza possono essere vari: economia, scienze politiche, marketing, così come discipline umanistiche o creative. Importante è porsi degli obiettivi e approfondirli, che sia con magistrale/master o con esperienza lavorative esterne e post-laurea. Soprattutto, è importante che si impari sin da giovanissimi, a leggere ed informarsi, non solo dalle fonti che ci vengono proposte dai canali ‘canonici’, ma anche da ricerche più approfondite, accurate e filtrate secondo il tipo di argomento in analisi.

5. Cosa possono fare le università italiane per formare esperti nel tuo mestiere?
Sono un grande sostenitore del sistema universitario: nel mio team ci sono tantissimi ragazzi che studiano o hanno studiato in varie facoltà e credo fermamente che esso rappresenti una struttura pienamente formante. Tuttavia, spesso percepisco che potrebbe essere fatto di più per educare e avvicinare i giovani sui temi contemporanei, cercando di scostarli dalla disinformazione e dalle varie generalizzazioni a riguardo che fanno sì che la percezione dei rischi presenti venga distorta. Educare le generazioni sul tema della resilienza passa in primis da uno step iniziale di demolizione del ‘classico’ approccio socio-economico delle comunità del passato. Ci troviamo in una realtà in cui i modelli economici e quelli sociali non vivono più un’evoluzione lineare e costante, ma piuttosto uno sviluppo spesso interrotto da vari shock e stress che le comunità contemporanee si trovano ad affrontare. Per questo motivo si rende necessario lo sviluppo di capacità adattive e il cambio di mentalità verso approcci e sistemi resilienti.

Per divulgare temi di innovazione sarebbe inoltre estremamente interessante dare la possibilità agli studenti di sperimentare di più: processi più coinvolgenti potrebbero essere la svolta per migliorare il metodo di insegnamento nelle nostre facoltà, spingendo i ragazzi ad essere protagonisti attivi del cambiamento in atto.

6. Quali sono secondo te le evoluzioni che potrà avere la tua professione in generale e, in particolare, nel settore di riferimento della tua azienda?
Se dovessi dare un nome alla mia professione credo userei il termine “specialista della resilienza”, anche se più spesso mi piace definirmi come un ‘idraulico’ o un ‘city maker’. Perché proprio l’idraulico? Beh, credo sia un esempio lampante di professione resiliente: si cerca sempre di aggiustare, adattare e tamponare i danni che hanno richiesto un intervento, allungando e migliorando così la ‘vita’ del sistema. Questo è quello che faccio ed il motivo per il quale amo il mio lavoro, anche se la realtà del Comune di Milano è un po’ più complessa di quella del lavandino della mia cucina.

Sebbene il termine “resilienza” sia al giorno d’oggi estremamente di moda, e per cui oggetto di critiche, credo che nei prossimi anni la resilienza, o come verrà chiamata qualora il pubblico dovesse stufarsi di questo termine, sarà una qualità altamente ricercata. Quest’anno è un grande campanello d’allarme su molti fronti, fra epidemia e cambiamento climatico, ci stiamo rendendo conto della necessità di avere una società costruita su pilastri resilienti che possano sopravvivere ai grandi shock globali. Sarà fondamentale che nei prossimi anni ci siano degli specialisti della resilienza per consigliare le aziende a muoversi in direzione di una maggiore resilienza ambientale, sociale ed economica; il costo di arrivare impreparati alle sfide che ci vengono imposte nel 21esimo secolo è troppo grande per non considerare prima un investimento nella resilienza e nella preparazione al fine di minimizzare il rischio climatico (ma non solo).

Al Settore Pubblico tocca allo stesso tempo la più grande sfida: se l’azienda deve semplicemente investire per non rischiare di crollare alla prima difficoltà di domani, il pubblico deve reggere la cittadinanza, i tessuti produttivi e sociali, e garantire la vita delle prossime generazioni. Il bene pubblico non è mai stato così difficile e allo stesso tempo facile da definire. Si aprono occasioni per le grandi città del mondo per creare canali di comunicazione e di scambio di migliori pratiche e le città come Milano sono già sul binario della resilienza, richiedono opinioni ad esperti in tutti i settori, sperimentano nuove tecnologie e cercano nuove soluzioni a nuovi problemi. Ma le altre città, dal tessuto rurale e lasciate indietro da questi movimenti di Città Globali, non possono essere trascurate; servirà che gli specialisti della resilienza arrivino anche nei piccoli Comuni e nelle città di media e piccola taglia, in quanto servirà l’aiuto di tutti per sconfiggere i problemi dell’umanità del secolo che viene.

Sono fermamente convinto che non esistano percorsi giusti o sbagliati. Credo soprattutto che se durante il proprio percorso di apprendimento si delinea davanti ad ognuno di noi un obiettivo professionale specifico, ci sia sempre un modo per raggiungerlo se spinti da curiosità e intraprendenza.

7. Cosa fai per mantenerti aggiornato in un contesto in continuo cambiamento?
L’informazione viaggia velocissima al giorno d’oggi. Ma allo stesso tempo viaggiano tutti i tipi di informazione, anche quelle non affidabili. Cerco pertanto di tenermi informato attraverso canali fidati, da giornali a periodici, passando ovviamente per le loro versioni online. Allo stesso tempo, i social sono un’ottima forma di informazione, se ben utilizzati e seguendo le persone giuste. Infine, essere il Chief Resilience Officer di Milano mi permette di partecipare a numerosi webinar e seminari in cui ho l’occasione di incontrare persone del settore che stanno continuando ad innovare ogni giorno nelle diverse città del mondo. Consiglio a tutti di cercare conferenze e incontri dove intervengono esperti, molti sono accessibili a tutti, perché l’opinione di qualcuno che lavora nel settore molto spesso è di estremo valore.

Uno dei miei hobby è quello di viaggiare, girare e scoprire: viaggiare non solo per piacere. Mi piace esplorare nuovi contesti, dove andare a raccontare cosa faccio e cosa voglia dire lavorare per costruire una città più resiliente. E qui la vera sfida è parlare non solo alle città emancipate e internazionali, ma spargere il verbo della resilienza anche nei piccoli comuni e nelle realtà rurali, dove anche un piccolo cambiamento può portare a grandi e duraturi miglioramenti.

8. Una lettura, un libro o una rivista che consiglieresti perché ti ha ispirato e ti ispira nel tuo lavoro
Consigio “Che cosa è l’Economia Circolare” di Emanuele Bompan e Ilaria Brambilla. Gli autori raccontano in un testo ispirante la storia del concetto dell’economia circolare, com’è nato, come si è evoluto e il perché del suo grande successo e della sua innovatività. L’Economia Circolare è uno di quei temi che ancora oggi lascia l’impressione di riuscire a conciliare tutti gli aspetti delle sfide che dobbiamo affrontare nel rendere più sostenibile la nostra economia.

9. Per l’emergenza Coronavirus abbiamo assistito al passaggio repentino allo smart working, ad un incremento delle lezioni a distanza, abbiamo iniziato in massa a fare la spesa on line… Possiamo dire che si è scoperto un altro modo di lavorare, ma anche di vivere?
Siamo stati finalmente costretti a provare dei servizi che erano già disponibili, ma mai davvero utilizzati. L’emergenza Coronavirus ci ha posto davanti al loro enorme potenziale, ma anche ai loro evidenti problemi che fino ad oggi non erano stati davvero considerati. Mi aspetto che d’ora in poi inizino finalmente i dibattiti su privacy, diseguaglianze nell’accesso digitale e non solo. Questi temi non erano ancora stati considerati appieno e meritano di trovare soluzioni, che confido si possano trovare agilmente: sono già numerosi gli strumenti che garantiscono la privacy del cittadino anche online, mentre per quanto riguarda le diseguaglianze abbiamo visto che già a Milano, durante la quarantena, si sono instaurate partnership tra pubblico e privato per la fornitura di computer a studenti di alcune scuole periferiche della Città che non avevano accesso ad internet o un dispositivo per seguire le lezioni; mi auguro che si possano trovare soluzioni simili nel futuro per creare una vera e propria connessione di cittadinanza. Allo stesso tempo, non dobbiamo fermarci davanti a queste problematiche, ma risolverle e sfruttare il potenziale di questo nuovo modo di vivere, che può aiutarci ad essere più resilienti davanti ad altri problemi, come i fenomeni climatici estremi, o i giorni con livelli di inquinamento troppo alti.

10. Cosa desideri aggiungere al termine di questa intervista? Qual è il tuo motto?
Il mio motto è “Be Good! Be Resilient!” (So che probabilmente a questo punto dell’intervista non vorrete mai più sentire la parola “resilienza”). Sono convinto che davanti alle sfide della vita non bisogna irrigidirsi, ma mantenere le caratteristiche meccaniche della resilienza: essere flessibili, essere capaci di essere impattati dalla sfida, di essere cambiati da essa, per poi tornare alla vecchia forma, che non è più vecchia ma è nuova, perché ha avuto esperienza della sfida ed è cresciuta grazie ad essa. Inoltre bisogna mantenere una caratteristica fondamentale che è la bontà: essere buoni per mantenere intorno a sé i compagni che ci aiuteranno ad affrontare le sfide davanti a noi.

Davanti all’umanità sono presenti grandi sfide, per cui questo è il miglior momento in cui essere buoni, essere positivi ed essere resilienti.

Ancora su Piero Pelizzaro
Negli ultimi anni è stato co-fondatore di Climalia, società di consulenza specializzata nella fornitura di servizi climatici in Italia, dove opera come Resilience Specialist. Piero è stato un Acclimatise Associate. È membro del gruppo di lavoro della Commissione Europea Mayors Adapt Practitioners Work Group e del gruppo di lavoro sull’attuazione di FiRe 2016 all’iniziativa politica sul clima. È membro dell’Advisory Board del Progetto Ramses del 7° PQ UE che mira a strutturare una metodologia di analisi costi-benefici per i Piani di Adattamento Urbano.

Ha una vasta esperienza in progetti finanziati dalla Commissione Europea, tra cui il progetto LIFE+ BlueAP Bologna Local Environment Adaptation Plan for a Resilient City (esperto senior), LIFE+ RECOIL, recupero olio da cucina di scarto per la produzione combinata di calore ed energia (direttore tecnico), MED Greenpartnerships come esperto senior e MED ZeroCO2 Small communities for big changing.

 

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