Generazione Z e formazione: uno sguardo al mondo Learning & Development

Nel 2025 il 27% della forza lavoro totale dei Paesi OCSE sarà composto da membri della cosiddetta Generazione Z, e cioè di giovani nati tra il 1995 e il 2010.

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Lavorare sulle competenze, tecniche o trasversali che siano, vuol dire, oggi più che mai, trovare il modo di incidere su motivazione e soddisfazione dei collaboratori, qualità del lavoro, efficienza dei processi e quindi competitività dell’organizzazione. Lo sanno bene le imprese che investono sulla formazione per migliorare il loro business, puntando in primis sullo sviluppo delle persone per prepararsi ad affrontare un futuro sempre più incerto. A tal proposito è interessante notare, dall’ultimo rapporto LinkedIn Learning1,come quasi metà dei professionisti del settore, a livello mondiale, si aspetti di veder aumentare il budget assegnato al proprio dipartimento L&D (Learning & Development) durante il prossimo anno, raggiungendo un picco rispetto agli ultimi sei anni, uno dei tanti segnali che il valore della formazione – e dei formatori – è sempre più riconosciuto a livello globale.

Ma non è solo il mondo della formazione corporate a crescere e cambiare faccia rapidamente. Anche le persone che entrano a far parte delle organizzazioni stanno evolvendo in fretta. Secondo il World Economic Forum2, nel 2025 il 27% della forza lavoro totale dei Paesi OCSE sarà composto da membri della cosiddetta Generazione Z, e cioè da giovani nati tra il 1995 e il 2010, al momento il 32% della popolazione mondiale.

Il rischio di perdersi tra la miriade di dati e di ricerche disponibili può condurre a pericolose generalizzazioni. Leggiamo spesso di una generazione tecnologica, iperconnessa, multitasking, creativa, aperta al cambiamento, intraprendente e con uno spirito imprenditoriale inedito rispetto alla generazione precedente, ma anche “segnata” da eventi recenti, come la pandemia e la crisi economica, tendente a distrarsi e demotivarsi facilmente, con livelli d’ansia, stress e burnout con cui non siamo stati abituati ad avere a che fare in passato.

Strumenti, tecniche e metodi devono generare un apprendimento di qualità, attrattivo e in grado di stimolare e orientare questa popolazione verso una crescita solida e continua.

Qualunque sia la versione “corretta” della storia – qualora ve ne fosse una – rimane fondamentale che le imprese si facciano trovare pronte di fronte a necessità, desideri ed esigenze specifiche dei più giovani, non solo per risultare attrattive ai talenti più interessanti, ma anche per offrire loro la possibilità di crescere professionalmente, una volta a bordo, nutrendo il loro potenziale, incentivandoli a tirare fuori il meglio di sé, a performare e, soprattutto, essere lavoratori sani, se non felici, in un’epoca in cui well-being e work-life balance, insieme a flessibilità e spirito d’adattamento, sono temi reali – e ricorrenti.

Ed ecco che allora diventa indispensabile, per i professionisti del settore, non solo comprendere quali siano le “nuove” competenze che i giovanissimi stanno portando all’interno delle aziende e quali le loro leve, ma anche e soprattutto gli strumenti, le tecniche e i metodi per generare un apprendimento di qualità, attrattivo e in grado di stimolarli e orientarli verso una crescita solida e continua.

Ma come fare per raggiungere questo obiettivo? Proviamo a fare qualche proposta.

Puntare al cross-skilling e al cross-training, e quindi allo sviluppo di competenze utili a più funzioni, può essere la chiave per migliorare la retention nell’era delle grandi dimissioni, in quanto processo capace di motivare ad acquisire conoscenze utili su più fronti e a dotarsi di un bagaglio adatto ad affrontare un futuro in cui l’implementazione di modelli organizzativi agili, la gestione del lavoro per obiettivi e l’ibridismo a cui i ruoli e le modalità tradizionali di lavoro vanno incontro sembrano destinati a diventare la norma. La formazione cross rappresenta un tassello imprescindibile per incoraggiare le nuove leve a vedere la propria crescita professionale e personale (aspetto al quale i giovani sono particolarmente affezionati) assumere una forma concreta, così come la possibilità di certificare le proprie skill per poterle “spendere” in autonomia.

Focalizzarsi sulla digitalizzazione dei processi di apprendimento, con un occhio di riguardo verso quelle piattaforme che privilegiano una fruibilità dei contenuti sui dispositivi mobili, sia in fase di progettazione che di erogazione della formazione. Un approccio per colmare il famoso gap tra le competenze delle vecchie e delle nuove generazioni e soddisfare l’esigenza di queste ultime di affrontare i temi più rilevanti con il linguaggio della velocità di fruizione, sfruttando il paradigma del micro-learning per catturare l’attenzione di una popolazione notoriamente satura di stimoli come la Generazione Z. Il futuro vede quindi i formatori sempre più impegnati a individuare modalità, tecnologie e contenuti innovativi, dal taglio social e votati all’interattività, per farsi trovare pronti di fronte alle enormi sfide che la digital transformation sta portando con sé.

Garantire un certo margine di “personalizzabilità” dell’esperienza formativa, lato persone, dando loro la possibilità – e responsabilità – di farsi guidare dalla curiosità e dagli interessi personali per muoversi in autonomia tra i contenuti a disposizione, in un’ottica di auto-sviluppo, e individuare più liberamente sia gli obiettivi formativi che la strada da seguire per raggiungerli.

Lato professionisti L&D, investire in strumenti all’avanguardia, come piattaforme LMS (Learning Management System) o di e-learning, in grado di valorizzare il know-how interno e facilitare l’erogazione di un’offerta formativa mirata in quanto calibrata sulle necessità del singolo oppure del team, mossa che vede il proprio impatto aumentare se supportata da sistemi di gestione delle performance che prevedono una definizione degli obiettivi di sviluppo stabilite dalle persone unitamente ai propri manager.

Considerare la possibilità di affrontare nuovi temi e sviluppare nuove skill, a patto che questi siano pensati per una popolazione che, stando a McKinsey3, più di ogni altra nella forza lavoro attuale rischia di vedere i propri bisogni sociali fondamentali insoddisfatti, e che si aspetta che la formazione vada oltre quella strettamente necessaria per svolgere le mansioni richieste dal ruolo. Secondo Mark Perna4, autore ed esperto di Generazione Z, quella di toccare temi come salute mentale, aumento delle life-skill e delle social skill è percepita da questa popolazione come una scelta strategica ed estremamente funzionale – al pari dei classici evergreen come managerialità e leadership – ad incidere su gestione dello stress e resilienza, oltre che a trovare il proprio, tanto desiderato equilibrio vita-lavoro potendo fare affidamento su un più ampio ventaglio di strumenti.

Insomma, nonostante l’identikit del membro della Generazione Z tenda ad apparire come un quadro dalle mille sfumature, è indubbio che formare questa popolazione necessiterà una strategia ad hoc, da implementare con approcci creativi che combinino interazioni sociali, tecnologia e l’opportunità, da parte dei dipartimenti L&D di proporre temi, sfruttare canali e utilizzare strumenti innovativi e all’avanguardia.

È fondamentale, ad ogni modo, partire dall’ascolto delle persone, per evitare il rischio di offrire un modello a taglia unica, incapace di produrre un miglioramento reale e concreto, non solo per le persone, ma per tutta l’organizzazione.


1 LinkedIn Learning Workplace Learning Report 2022-EN.pdf
2 World Economic Forum – Gen Z and the end of work as we know it
3 McKinsey – Addressing the unprecedented behavioral health challenges facing generation Z
4 Mark Perna – Ways of satisfying the Gen Z workforce can help every other working generation

 

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