Appunti, pensieri e riflessioni sul futuro prossimo di una narrazione che si fa strumento di trasformazione.

La comunicazione d'impresa si confronta ogni giorno con fenomeni nuovi. Dialogo con Luigi Bellotto, Reale Mutua

Tempo stimato di lettura: 16 minuti

Luigi Bellotto, Supporto Progetti e Attività di Change Management in Reale Group. Premessa di Valentina Marini, HR Senior Consultant.

È il cambiamento bellezza, il cambiamento, e tu non ci puoi fare niente.(*)

(*) Citazione liberamente ispirata a L’ultima minaccia (Deadline),
film del 1952 diretto da Richard Brooks.

Tutto ruota intorno alla comunicazione: in ogni relazione quotidiana, nell’educazione, nel lavoro, nei pensieri, nella vita in generale. Motivo per il quale il primo assioma della comunicazione della Scuola di Palo Alto (Paul Watzlawick) – Non si può non comunicare – potrebbe essere uno di quegli appunti da tenere sempre bene in mente.

La comunicazione riflette il nostro modo di pensare ed è una prova tangibile di intelligenza sociale; attraverso il linguaggio si apprende a pensare, come le parole che si utilizzano sono una concreta dimostrazione del modo di percepire il contesto e la realtà.

Eppure a volte nelle organizzazioni si sottovaluta l’importanza della comunicazione: nel suo ruolo strategico di comunicazione interna, capace di far accadere le cose, informando e motivando anche nel cambiamento, come si sottostimano gli impatti che le singole relazioni comunicative hanno nel lavoro di team, nelle dinamiche con clienti, fornitori e referenti vari. Un argomento, quindi, che può sembrare banale in quanto naturale comportamento umano, e che invece richiede ogni giorno allenamento a tutti, indipendentemente dal ruolo (basti pensare a quanti problemi possono essere ricondotti “semplicemente” alla comunicazione).

La comunicazione è lo strumento principale che consente di lavorare bene, mantenendo sane e costruttive relazioni. Sicuramente, tra i tanti canali che permettono di comunicare è fondamentale trovare un equilibrio per non incorrere nei rischi della sovra-comunicazione, ma questo è un passaggio che possiamo definire secondario (è più importante ricordare prima che in organizzazione è meglio sovra-comunicare che non comunicare).

Per questo motivo è fondamentale non smettere di riflettere sul tema e in questa occasione approfondiamo il punto di vista di Luigi Bellotto (Responsabile Processi di change management in Reale Mutua), soffermandoci sul futuro prossimo della narrazione come strumento di trasformazione in azienda. Lasciamo quindi a Luigi lo svolgimento dell’articolo.


Il punto di vista di Luigi Bellotto sul futuro prossimo della narrazione come strumento di trasformazione in azienda.

“Care colleghe e cari colleghi, benvenuti all’edizione 2022 della nostra convention. Oggi siamo in 1.500 e l’obiettivo della giornata sarà quello di …”. Chissà se nel prossimo futuro sentiremo ancora pronunciare parole che per tanti anni hanno avviato incontri organizzati talvolta con ingenti risorse economiche. E soprattutto, quale valore potremo generare affidandoci ad un post o un comunicato organizzativo, pubblicando una newsletter, navigando in una versione digitale dell’house-organ, filmando un video messaggio del top management, progettando una campagna di engagement all’interno del Digital Work Place?

Inutile far finta di nulla. Sono proprio queste (e tante altre ancora) le domande che oggi stanno attraversando il settore della comunicazione d’impresa, rivelando scenari inaspettati e nuove opportunità.

La comunicazione d’impresa si confronta ogni giorno con fenomeni nuovi.

Volendo sintetizzare, si potrebbe affermare che la stagione dello storytelling aziendale come lo abbiamo imparato e praticato sino ad oggi, sta cedendo il passo ad un’era che potremmo definire con una licenza linguistica quella del Changetelling (riprendendo una recente ricerca di EY che conferma come l’identità del comunicatore d’impresa sia cambiata per assumere quella del Change Teller: un professionista capace di utilizzare gli strumenti della narrazione aziendale con una prospettiva olistica, prendendosi cura del cambiamento e dei processi evolutivi delle persone, delle relazioni e dei modi di vivere ed essere nelle organizzazioni).

Attualmente la comunicazione d’impresa si confronta ogni giorno con fenomeni nuovi, che stanno trasformando le regole tradizionali. Tra i tanti elementi, a nostro avviso, quelli più interessanti sono cinque:

  • Lavoro a distanza: sappiamo che lo smart working è una modalità di lavoro sempre più praticata in molte imprese italiane e nel mondo. Essa richiede un modello di comunicazione che supera le tradizionali modalità di fruizione dei media, dei format e degli strumenti e pone in primo piano soprattutto i bisogni delle persone e la ricerca continua della qualità del dialogo, dell’ascolto, dell’incontro delle persone che appartengono ad un’organizzazione. Siamo di fronte ad un vero e proprio “cambio di paradigma” che richiede allo storyteller aziendale una nuova visione e lo porta a considerare in via prioritaria non tanto il messaggio o il medium, quanto la relazione e la connessione tra i contenuti, i format e i bisogni di consapevolezza che le persone di un’organizzazione hanno per poter dare un contributo autentico allo sviluppo e al business
  • Leadership: nelle organizzazioni più innovative sta crescendo la consapevolezza del fatto che la comunicazione è diventata una delle competenze che caratterizzano la leadership nel mondo ibrido, dove il lavoro digitale si coniuga con quello in presenza. Non importa se dentro o fuori un ufficio, ma un buon gestore di persone deve saper comunicare bene, in modo empatico, ingaggiante, offrendo strumenti per far sentire i colleghi protagonisti attivi del cambiamento richiesto. In altri termini, il focus della comunicazione sembrerebbe dunque essersi spostato dalla funzione che sino a ieri aveva la responsabilità unica di parlare alle persone, ai manager che hanno il compito di essere loro stessi buoni comunicatori interni
  • Skill digitali: indubbiamente, sono cresciute tra le nostre persone le competenze digitali che consentono di accedere ad un sapere diffuso, universale, che può essere condiviso con estrema facilità. Ma il processo di apprendimento di queste nuove skill è appena iniziato, dunque è necessario che la comunicazione faccia partnership con altre funzioni aziendali come ad esempio IT, Formazione e Innovation per sostenere e abilitare tutti sulle competenze nuove e necessarie per “comprendere” e “attraversare” il nuovo mondo che si disvela sulle nostre tastiere
  • Ecosistemi mediatici: non bisogna sottovalutare il fatto che la comunicazione oggi ha a disposizione un ampio eco-sistema mediatico che consente una capacità narrativa immediata e linguisticamente multiforme: chiunque può essere un comunicatore interno, capace di creare in modo autoriale una narrazione bella ed efficace che attraversa linguaggi e codici differenti, dal video alla radio, dai podcast alle pagine WEB, dalle infografiche alle animazioni che possono funzionare molto bene, tra l’altro, sia all’interno sia all’esterno dell’impresa
  • Less is more: recenti dinamiche evolutive del nostro settore dimostrano che per fare una comunicazione efficace, non è necessario avere budget a sei zeri. La differenza si può fare quando si utilizza correttamente la capacità di governare i differenti media a disposizione delle imprese. Quello che conta oggi è la messa a punto di una regia editoriale/mediatica, per orchestrare in modo coerente e soprattutto credibile i messaggi che l’impresa intende diffondere all’interno. Ed è su questa base che le risorse economiche possono essere definite in funzione di quello che serve, con la logica dei business case che consente di utilizzare i budget e misurare gli impatti e i risultati conseguiti.

Potremmo arricchire questa lista con tanti altri spunti. Ma quello che emerge chiaramente è il fatto che i fenomeni che stiamo vivendo offrono allo storyteller l’opportunità di trasformare la narrazione d’impresa in un forte acceleratore dei processi di change management, in virtù del fatto che nel suo perimetro professionale è entrato prepotentemente il valore della conoscenza dell’organizzazione, della capacità di coinvolgere e ingaggiare tutti, della possibilità di comprendere il contesto interno ed esterno dell’impresa e raccontarlo. Svolgere la funzione del Change Teller consente in altri termini di creare non tanto un racconto, ma uno spazio narrativo aperto per accogliere e coltivare il cambiamento rimettendo nelle mani, nel cuore e nella professionalità delle persone la possibilità di dare un contributo vero e autentico allo sviluppo e alla sostenibilità dell’azienda.

Ma come funziona la narrazione del Change Teller e quali sono i suoi tratti distintivi?

Il primo elemento da sottolineare è che la narrativa al servizio del Change deve essere innanzi tutto autorevole e credibile, per distinguersi tra le mille fonti di informazione che le nostre persone hanno a disposizione per leggere e interpretare il mondo. Per fare questo, la comunicazione necessita di un mandato chiaro e avere la possibilità (concreta) di poter esercitare una leadership forte che nasca soprattutto dalla ricerca della massima coerenza tra quello che si dichiara e i comportamenti agiti dall’impresa.

In secondo luogo, assegnare alla comunicazione il compito di agire il cambiamento, significa contare su una narrativa sempre aperta all’ascolto e capace di esprimere il pensiero strategico dell’intera organizzazione. Si tratta in altri termini di avere al centro di ogni scelta i bisogni delle persone, saper raccontare il purpose di quello che accade ogni giorno e quale deve essere il percorso da fare. Il tutto, prefigurando cosa e come bisogna essere e cosa e come è necessario fare, cercando di semplificare la complessità dei nostri giorni e rendere la tecnologia un partner per agire nuovi comportamenti e guardare il mondo con mindset più aperti.

Inoltre, non possiamo dimenticare il fatto che – se quella del Change Teller deve essere una narrativa per la trasformazione – è necessario avere in primo piano sempre e solo le parole, le immagini e i concetti che coinvolgono, assicurano le coerenze tra i contenuti e i comportamenti, sperimentano nuovi mindset, avvicinano le persone all’organizzazione, recuperano il senso di appartenenza e sostengono il valore profondo delle scelte di un’impresa. Il nucleo di questo sistema narrativo deve essere composto da storie, persone ed  esperienze reali che generino il cambiamento, che attivino momenti di innovazione, che facciano la differenza, che mettano in campo nuove connessioni tra le persone con le energie giuste per provare a cambiare o sperimentare nuove visioni.

E per finire un tema classico: la partnership. Il Change Teller ha la necessità – oggi più di ieri – di giocare in team con alcuni importanti alleati, senza i quali è molto difficile interpretare il proprio ruolo in modo efficace. Pensiamo in particolare alle funzioni HR, alla formazione, alle strutture di Change management, all’Innovation ma soprattutto al mondo HR data management, con i quali è necessario avere una partnership molto solida.

Il Change Teller è una specie di direttore d’orchestra.

Il tempo della contrapposizione tra chi parla, chi ascolta e chi legge nelle organizzazioni è finito. La capacità di intercettare i dati che le varie piattaforme di comunicazione raccolgono mettono a disposizione un patrimonio informativo estremamente ricco che deve essere padroneggiato, non tanto per controllare i click, le abitudini o gli accessi al DWP, quanto per individuare e anticipare le aree di bisogno, i comportamenti e i cosiddetti small data (la definizione è tratta dal libro di Alice Avallone #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale) che svelano scelte reali delle persone nelle piattaforme e misurano l’efficacia del patrimonio informativo che mettiamo a loro disposizione ogni giorno.

Volendo concludere questa panoramica sul rapporto tra narrazione e cambiamento, dunque non resta che affermare che essere Change Teller significa occuparsi di comunicazione e ingaggio, parole e comportamenti, storie che sostengono tutto quello che rende il rapporto tra impresa e persona più autentico e generativo.

Forte di tale visione, egli ha la possibilità di diventare una specie di direttore d’orchestra il cui compito è armonizzare le singole voci, evitare le ridondanze, perseguire le coerenze ed eseguire nel miglior modo possibile una partitura (il percorso di cambiamento) capace di accendere le emozioni e lasciare una traccia positiva nel percorso di un’impresa.

Il risultato finale resta quello di rendere “memorabile” un messaggio, una storia, una persona affinché si trasformi in comportamento, in azione, in scelte verso il futuro.  In una parola, tutto quello che può rendere un’organizzazione un luogo migliore, più sostenibile e dove sia possibile – a tutti – essere nient’altro che sé stessi. La strada è tracciata. Non resta che proseguire e accogliere il cambiamento.

 

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