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Così scriveva Socrate nel V secolo a.C. e simili sentenze si ripetono anche oggi quando le precedenti generazioni guardano ai giovani, a testimonianza di quanto una percepita difficoltà di collaborazione intergenerazionale sia sempre stata presente.
La difficoltà di collaborare fra generazioni: un evergreen
Il tema delle “generazioni” è stato posto all’attenzione scientifica nel 1991, quando nel libro “Generations: The History of America’s Future” Howe e Strauss le hanno definite come insiemi di persone che, avendo avuto esperienze in comune fino alla maggiore età, condividono valori e comportamenti tipici simili.
Se la questione della relazione tra generazioni esiste da sempre, perché oggi è un tema particolarmente sentito?
Per la prima volta nella storia, complici il miglioramento della qualità della vita e i cambiamenti repentini che assottigliano sempre più il divario in anni tra una generazione e la successiva, delle 7 generazioni che convivono nel mondo, 5 sono ancora impegnate attivamente nel lavoro, ponendo criticità all’interno delle organizzazioni.
Differenza generazionale in azienda e Interaging: una minaccia o un’opportunità?
La letteratura ha individuato uno specifico ostacolo alla relazione tra generazioni, definito come ageismo. Questo bias emerge quando alle persone sono assegnati compiti in base alla loro età anagrafica.
Per esempio, di fronte a un progetto complesso dal punto di vista tecnologico, il pregiudizio inconscio porta a presumere che una persona giovane possa essere più adatta a gestirlo.
I bias prendono forma in diversi momenti chiave del ciclo di vita di un dipendente. Prendiamone in esame tre:
- Reclutamento e assunzione: quando i candidati più giovani vengono favoriti semplicemente per la loro età
- Sviluppo e formazione: quando i lavoratori più anziani ricevono meno opportunità di formazione, promozione e ricompense, o vengono discriminati
- Cessazione del rapporto di lavoro: quando un’azienda “rinfresca” la sua forza lavoro a partire dai dipendenti più senior, creando occasioni incoraggianti per l’uscita.
Ma al di là della differenza anagrafica, siamo così diversi?
Le persone cercano flessibilità, sostegno, apprezzamento, contesti sicuri in cui ci sia fiducia, vogliono condividere un buon caffè: nessuna di queste necessità è legata a una generazione. Gli studi recenti, inoltre, dimostrano che le persone hanno in comune molto più di ciò che credono, come la spinta all’innovazione, l’orientamento all’apprendimento e le modalità di lavoro.
Ebbene, focalizzare l’attenzione sull’opportunità di superare i bias ci porta a riflettere su quanto in realtà, al di là della diversità generazionale, siamo molto più simili di quanto immaginiamo.
Non solo. La convivenza tra generazioni – così come quella tra generi, culture o orientamenti sessuali differenti – se valorizzata, può aumentare il valore espresso dalle persone e influire positivamente sull’andamento complessivo dell’azienda.
La sfida oggi è quella di favorire la collaborazione e la comprensione reciproca, utilizzando le differenze come una leva strategica per il benessere delle persone e del business.
Promuovere l’Interaging produce benefici per i lavoratori, come per le organizzazioni
All’interno delle pratiche di Diversity, Equity e Inclusion si sta sempre più affermando la branca dell’age management, che ingloba interventi aziendali strutturati e coerenti tra di loro, volti a valorizzare i punti di forza dei lavoratori, anche in considerazione della loro età anagrafica.
Per i singoli lavoratori, i vantaggi sono molteplici:
- migliore motivazione e senso di appartenenza
- maggiore soddisfazione lavorativa e senso di riconoscimento
- migliore equilibrio lavoro-vita privata
- mantenimento della capacità lavorative e dell’occupabilità lungo tutta la carriera.
Ma più in generale, promuovere team eterogenei in termini di età nel contesto organizzativo, può contribuire a:
- garantire le competenze e il know-how
- migliorare le prestazioni in tutte le fasce di età
- migliorare la messa in pratica dei punti di forza e dei talenti all’interno di diverse fasce di età, traendo, ad esempio, vantaggio dalla rete di conoscenze, competenze ed esperienze reciproche
- ridurre i costi di assunzione e facilitazione della job rotation
- gestire positivamente la successione nelle fasi di pensionamento.
Cosa possono fare le funzioni HR per favorire l’inclusione e la collaborazione intergenerazionale?
Fra le azioni possibili:
- creare progetti o team di progetto che coinvolgano tutte le generazioni, esplicitando il valore aggiunto che ogni persona, con le sue conoscenze, competenze e peculiarità, può apportare
- avere chiaro lo scenario degli stili e degli strumenti comunicativi interni, per poi definire e promuovere un linguaggio comprensibile e condiviso da tutti gli attori organizzativi
- inserire nei modelli di competenza specifici riferimenti alla capacità di riconoscere e gestire i bias
- stimolare la conoscenza e la curiosità, porre domande e incentivare lo stesso nelle persone dell’azienda.
Tuttavia, perché le azioni organizzative abbiano successo e generino comportamenti condivisi virtuosi è importante che i singoli individui ne comprendano il senso e agiscano buone pratiche nella quotidianità, ad esempio:
- manifestare curiosità praticando la sapiente arte di fare domande esplorative
- osservare con attenzione l’altra generazione, cercando non solo cosa distingue, ma anche cosa accomuna
- sospendere il giudizio e domandarsi: quali fenomeni stanno promuovendo la visione del mondo propria di quella generazione?
Quindi Basi, non Bias
Le aziende devono gettare solide basi di rispetto reciproco per una collaborazione intergenerazionale; attuare sinergie positive per integrare età e competenze diverse, ma anche professionalità differenti.
Con i repentini cambiamenti del mondo del lavoro e la veloce evoluzione tecnologica, ognuno deve collaborare all’interno dell’organizzazione per favorire uno scambio positivo tra generazioni, e avere così due visioni: una esperienziale, del lavoratore più anziano e una proiettata al futuro, tipica delle menti più giovani.