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L’intelligenza artificiale (AI) sta rapidamente trasformando il mondo del lavoro e delle organizzazioni, automatizzando compiti e ridefinendo ruoli. Tuttavia, senza competenze umane solide, il potenziale dell’AI resta limitato. Secondo una ricerca globale (Workday 2024), l’83% delle persone nelle organizzazioni sono consapevoli che, con l’adozione dell’AI, le competenze distintive dell’essere umano, come creatività e intelligenza emotiva, diventeranno ancora più cruciali. Secondo lo stesso studio, il 60% dei leader è convinto che l’AI cambierà il modo di lavorare dei propri team, ma meno del 30% delle organizzazioni hanno già avviato programmi per supportare questa trasformazione. Se da un lato è riconosciuto l’impatto che l’AI avrà sul lavoro, dall’altro non tutti sono ancora pronti ad affrontarlo.
Non si tratta solo di fornire nuove conoscenze digitali, bensì di aiutare le persone a sviluppare un approccio strategico all’uso dell’AI. Non basta saper utilizzare gli strumenti: è necessario comprendere come interpretarli, contestualizzarli e combinarli con le altre competenze, per creare valore.
È chiaro che l’AI non sostituisce l’intelligenza umana, ma ne ridefinisce il ruolo. Saper usare l’AI è importante, ormai quasi inevitabile, ma il vero valore si genera nella capacità di interpretarne i risultati, inserirli nel giusto contesto e prendere decisioni consapevoli. In questo scenario emergono alcune competenze “soft” che risultano cruciali:
- Decision making e pensiero critico. L’AI può elaborare enormi quantità di dati e suggerire modelli o soluzioni, ma la responsabilità della scelta finale rimane alle persone. Qui entrano in gioco il pensiero critico e la capacità di valutare scenari complessi: competenze che diventano sempre più centrali, anche per evitare di affidarsi ciecamente alle risposte generate dall’AI.
- Creatività e innovazione. L’AI si basa sull’analisi del passato per generare previsioni sul futuro, ma una solida innovazione nasce dalla capacità di immaginare scenari inediti. La creatività non è solo un’attitudine, ma un elemento essenziale per risolvere problemi, individuare nuove opportunità e sviluppare strategie. Creatività e innovazione saranno tra le competenze più richieste nei prossimi anni, perché, mentre l’AI eccelle nel riconoscimento di schemi, rimangono le persone a trasformare le informazioni in idee originali e soluzioni non convenzionali.
- Relazioni e Fiducia. In un mondo trasformato da algoritmi e processi automatizzati, la capacità di costruire connessioni autentiche diventa un elemento distintivo. Sono indispensabili per permettere una collaborazione efficace, la gestione del cambiamento e la risoluzione di problemi complessi, che esulano dalle capacità puramente analitiche dell’AI.
In contesti ad alto tasso di AI, si osservano nei team lo sviluppo di una responsabilità distribuita per i risultati, fiducia per le competenze reciproche, una gestione costruttiva dei conflitti ed una maggiore capacità di unire l’”ingegno collettivo” per i risultati comuni. Anche la fiducia nel leader in questi contesti implica la convinzione che il leader stia guidando l’organizzazione attraverso l’innovazione tecnologica in modo efficace, etico e responsabile, tenendo conto del feedback e dell’impatto sulle persone. La fiducia contribuisce a creare una cultura positiva, collaborativa e orientata all’innovazione. Un ambiente di fiducia è fondamentale per massimizzare i benefici dell’AI, sfruttando al meglio sia le capacità tecnologiche che il potenziale umano.
In questo scenario si pone quindi l’urgenza di una strategia chiara ed efficace, non solo sull’introduzione e l’uso dell’AI a supporto di tutti i processi aziendali e nella relazione con i clienti ed il contesto esterno, ma anche e soprattutto fornendo alle persone i giusti strumenti e le corrette risorse, in termini di competenze.
Secondo il World Economic Forum, entro il 2027, 6 lavoratori su 10 avranno bisogno di un aggiornamento delle competenze per restare competitivi. Se non si investe ora in reskilling (sviluppando nuove competenze) ed upkilling (potenziando quelle esistenti, creando un ciclo continuo che risponde all’evoluzione rapida dell’AI), che combinino tecnologia e soft skills, il rischio è quello di trovarsi in un mercato del lavoro polarizzato: da un lato, una ristretta élite di professionisti altamente qualificati in grado di sfruttare l’AI per i risultati dell’organizzazione e del team; dall’altro, una forza lavoro meno preparata, con competenze sempre meno adeguate alle nuove esigenze. Reskilling ed Upskilling, non sono un’opzione, ma una necessità strategica.
Il futuro del lavoro non sarà quindi una competizione tra intelligenza artificiale e intelligenza umana, bensì una sinergia tra i due, in cui l’AI automatizza e ottimizza, ma resteranno le persone a fornire direzione, strategia e visione. Le aziende che sapranno investire in un processo integrato, che non si limiti alla formazione tecnica ma includa anche e soprattutto lo sviluppo delle giuste “competenze umane”, saranno quelle in grado di trarre il massimo vantaggio dalla trasformazione del mondo portata dall’AI.