Lean Transformation

Dalla metodologia SMED al Quick Change Over per rispondere ai problemi di produttività e generare una spinta motivazionale negli operatori.

Tempo stimato di lettura: 12 minuti

Federico Coscia, Consulente PRAXI Organizzazione

Da sempre gli sforzi della Lean Transformation sono orientati alla produzione snella, ovvero la riduzione degli sprechi di tempo e risorse che non restituiscono valore al cliente finale, con l’obiettivo di rendere l’azienda più efficiente rispetto alle esigenze del mercato.

Una raffica incessante di “perché?” è il modo migliore per preparare la mente a squarciare il velo di pensiero offuscato dallo status quo. Usatela spesso.
Shigeo Shingo

Ma che cos’è la Lean Transformation? Il termine nasce dal processo noto anche come Metodo Toyota, caposaldo del Toyota Production System, in cui si afferma l’idea di fare più con meno dalla necessità nel Giappone del dopoguerra di risparmiare risorse. Utilizzare, quindi, poche risorse disponibili nel modo più produttivo possibile, al fine di incrementare la produttività della fabbrica.

Vediamo quali metodologie si sono succedute negli anni per rispondere agli ostacoli della produttività.

Il Sistema di Produzione Toyota, a cui è associato il concetto di Lean Production, riconduce gli sprechi a 3 macro-categorie, identificate nei tre termini giapponesi:

  • Muda: attività inutili o improduttive
  • Muri: carichi di lavoro irragionevolmente alti per persone o macchine
  • Mura: carichi di lavoro non bilanciati su persone e macchine, con un’alternanza scostante da estremi picchi di lavoro a periodi di inattività.

A inizio anni ’50 il Direttore di uno stabilimento della Toyota chiese all’ingegnere Shigeo Shingo di risolvere un “collo di bottiglia” verificatosi in corrispondenza di tre grandi presse.

Il management dello stabilimento propose di acquistare macchinari nuovi, con un dispendio di risorse economiche decisamente elevato. Per Shingo, invece, il problema non risiedeva tanto nella capacità produttiva del reparto e delle macchine, quanto nella cattiva gestione di queste ultime. Ottenuto il permesso di arrestare la produzione per una settimana, scoprì infatti che tutte e tre le presse non operavano al massimo della capacità.

Individuò quindi tutte le attività di attrezzaggio e le distinse in due categorie:

  • attività da compiere necessariamente a macchina ferma, come la messa a punto delle attrezzature interne al macchinario
  • attività effettuabili a macchina in movimento, come il trasporto delle attrezzature dal macchinario o verso di esso, l’oliatura degli attrezzi e il preriscaldamento degli stampi.

Grazie a ciò, e ad una serie di altri accorgimenti legati all’eliminazione di sprechi e attività a basso valore aggiunto, ridusse i tempi di setup del 50% già dal primo intervento.

La metodologia SMED (Single Minute Exchange of Die) introdotta in quel frangente è stata la più utilizzata fino agli anni ‘90 per ridurre al minimo le criticità legate alle soste produttive dovute ai setup. La sua applicazione iniziale era chiaramente dedicata al mondo dell’automotive, ma nel tempo ha finito per investire tutti i settori industriali. Prevedeva l’intervento sulle singole macchine oggetto di analisi, per ottimizzarne l’utilizzo e introdurre un metodo da adottare nella routine aziendale.

Laddove le aziende spesso sceglievano di aumentare i lotti produttivi in risposta all’alto costo rappresentato dai fermi macchina (lotti grandi = meno fermate = più tempo dedicato alla produzione), ritrovandosi però a dover gestire un sistema irrigidito, livelli di scorta elevati (con conseguenti costi di immagazzinaggio, deperimento dei prodotti, minor flessibilità logistica) e lead time mastodontici, la metodologia SMED rovesciava l’approccio. Proponeva di intervenire sulla riduzione dei tempi dedicati all’attrezzaggio, con l’obiettivo di creare un sistema produttivo più flessibile, capace di rispondere alle mutevoli esigenze del mercato anche grazie a scorte ridotte e lead time snellito.

Lo SMED ha dato il via ad altre metodologie. In particolare, gli anni ‘90 hanno portato in dote alle realtà aziendali Lean un sistema più innovativo e dall’applicazione ancora più diffusa: il Quick Change Over.

A differenza del suo “antenato”, lo strumento del QCO ha introdotto un approccio più esteso e accessibile ai diversi livelli dell’organizzazione. L’applicazione, infatti, riguarda tutti i fattori produttivi di un’area (macchine, persone, gestione del materiale) con l’obiettivo di intervenire sull’assetto iniziale attraverso standardizzazione di attività, formazione a tappeto e sistemi di gestione visuale delle attività.

Oggetto di valutazione del QCO, in base ad alcuni indicatori definiti in fase di avvio (ad esempio lead time di processo, efficacia complessiva delle macchine – OEE, livello di scarti, % di rilavorazioni), sono i seguenti aspetti:

  • quali attività vanno necessariamente svolte a macchina ferma e quali no
  • quanto tempo impiegano e quanto spazio percorrono gli operatori in fase di riattrezzaggio
  • la possibilità di modificare la programmazione delle macchine per far sì che le produzioni similari siano cronologicamente conseguenti
  • la possibilità di combinare o semplificare alcune operazioni, al fine di ridurre spostamenti e colli di bottiglia.

Si cerca quindi di trasformare, dove possibile, le attività di attrezzaggio interne in esterne e si verifica che gli operatori abbiano facilmente accesso a strumenti e attrezzi necessari.

A seguire, per esigenza di chiarezza, si predispongono le istruzioni attraverso strumenti il più possibile visuali.

Il nuovo processo viene testato direttamente dagli operatori che hanno partecipato attivamente al cantiere di miglioramento, in modo da ottenere feedback immediati ed empirici su eventuali problematiche o possibili rischi.

Una volta condiviso il nuovo processo, si verifica l’effettiva entità del miglioramento ottenuto in base ai KPI individuati precedentemente. Nella logica del miglioramento continuo caratteristica del Lean Thinking, infine, si raccolgono periodicamente suggerimenti e impressioni da integrare via via nel processo.

Se le attività di QCO sono state accolte dagli operatori e gli stakeholder riconoscono i miglioramenti ottenuti (fondamentale è quindi il sistema di misurazione della performance), diventerà più agevole diffondere la metodologia ad altre aree, realizzando un circolo virtuoso che migliorerà progressivamente tutto il ciclo produttivo.

I benefici non si limitano all’aspetto puramente tecnico: il personale coinvolto nei cantieri lean gode comunemente di una spinta motivazionale superiore.

Negli ultimi anni i cantieri di applicazione del Quick Change Over hanno investito praticamente tutti i settori produttivi: automotive, lavorazioni meccaniche, food&beverage, abbigliamento, lavorazione legno, e molti altri.

Questo perché i vantaggi sono molteplici: riduzione importante dei buffer (i “magazzini” temporanei a bordo macchina), incrementi significativi della produttività, flussi di lavoro stabilizzati e bilanciati, che liberano tempo attivo da dedicare ad attività a maggiore valore aggiunto.

Il contesto attuale e lo sviluppo tecnologico costante favoriscono un’evoluzione e un adattamento continui della metodologia del QCO, anche grazie ad interventi come quelli di Industria 4.0, che ha portato innovazioni importanti nel parco macchine delle imprese, sia italiane sia internazionali.

Ma i benefici non si limitano all’aspetto puramente tecnico: il personale coinvolto nei cantieri lean gode comunemente di una spinta motivazionale superiore, favorendo l’introiezione di una logica di miglioramento continuo che, partendo dalla base dell’azienda, non viene percepita come un’imposizione. Quando questa dinamica diventa stabile, l’ownership dei progetti di miglioramento viene accettata, e a volte addirittura ricercata, verso il raggiungimento di obiettivi “win-win” tra prospettiva economico-finanziaria e benessere lavorativo.

Oggi le esigenze legate all’impatto ambientale spingono sempre di più verso un modello di azienda Lean & Green, eccellente dal punto di vista dei processi come dell’attenzione per l’ambiente.

In questa prospettiva, la lotta alle macro-categorie di spreco della Lean Transformation sembra produrre ottimi benefici anche a livello ambientale, riducendo sia le risorse necessarie al processo produttivo, che le emissioni di sostanze nocive verso l’esterno.

Approcciare le tematiche ambientali in ottica Lean sembra essere un’opportunità da cogliere al volo, non solo per migliorare la produttività e la competitività delle imprese, ma per il beneficio della società e delle future generazioni.

Quali altri adattamenti proporrà la Lean per venire incontro alle nuove priorità emergenti? Non facciamoci cogliere impreparati.


Bibliografia

1. “A Revolution in Manufacturing: The SMED System” – Taylor&Francis, 1985, Shigeo Shingo
2. “Quick Changeover for Operators: The SMED System” – Taylor&Francis, 1996, Shigeo Shingo
3. “Kaizen for Quick Changeover: Going Beyond SMED” – Taylor&Francis, 2006, Keisuke Arai, Kenichi Sekine
4. “Quick Changeover Simplified: The Manager’s Guide to Improving Profits with SMED” – Taylor&Francis, 2007, Fletcher Birmingham, James Jelinek

 

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