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Tutti noi conosciamo benissimo il significato della frase MADE IN CHINA, il messaggio è chiaro ed inequivocabile. La prima conseguenza è scontata, capiremmo subito che il prodotto e/o il servizio che abbiamo sottomano non proviene dalla Cina.
E se azzardassimo di depositare NOT MADE IN CHINA come marchio? Qualcuno ci ha provato, senza successo.
In Europa, l’articolo 7 del Regolamento EU 2017/1001 disciplina l’assenza di carattere distintivo dei marchi, ed il NOT MADE IN CHINA è stato respinto perché poteva rappresentare un insulto alla Cina al punto da mettere in dubbio i rapporti diplomatici tra Europa e Cina.
Quindi il NOT MADE IN CHINA non poteva essere registrato perché contrario all’ordine pubblico ed al buon costume ai sensi dell’articolo 7 lettera f).
Ma siamo certi che il NOT MADE IN CHINA fosse così deplorevole?
In proposito, riecheggiano i noti casi nei quali sono stati rifiutati, per le stesse ragioni, domande di marchi europee come “la Mafia se sienta a la mesa” ( “la Mafia si siede a tavola”) ed il simbolo della foglia di cannabis, perché, nel primo, si è detto che veniva promossa l’organizzazione criminale, mentre nell’altro si sarebbe permesso al titolare di entrare a gamba tesa nella nota diatriba sulla liberalizzazione della cannabis.
Se si ama una cosa e la si vede con gli occhi del cuore, si dimenticherà la sua bruttezza.
Il NOT MADE IN CHINA sembra però andare in un’altra direzione.
Un proverbio cinese dice: se si ama una cosa e la si vede con gli occhi del cuore, si dimenticherà la sua bruttezza. A nostro avviso la preclusione nel NOT MADE IN CHINA manca di analizzare un aspetto fondamentale, che è quello del livello di attenzione del consumatore.
L’attenzione anticipa, e non di poco, la fase successiva consistente nella percezione del marchio.
In altre parole, se l’attenzione è quella fase in cui il consumatore mette insieme e seleziona tutte le informazioni e le esperienze utili per poi ricordare il marchio, la valutazione del suo carattere distintivo la segue.
Insomma, il consumatore evolve, e se percepisce il chiaro messaggio del NOT MADE IN CHINA rapporterà il suo significato al tipo di prodotto interessato. La giurisprudenza europea impone, infatti, di rapportare il carattere distintivo dei marchi rispetto al settore merceologico, evitando che le analisi soggettive prevalgano su quelle oggettive.
Un consumatore che intende comprare un prodotto costoso troverebbe nel NOT MADE IN CHINA la conferma che esso è fatto altrove, ma chi lo dice che poi lo acquisterebbe?
Il prodotto in questione potrebbe non avere le qualità all’altezza delle sue aspettative, così come esistono innumerevoli consumatori che scarterebbero un NOT MADE IN CHINA rispetto ad un MADE IN CHINA perché hanno testato il prodotto, o perché gode di un passaparola vincente, o semplicemente perché le loro esperienze hanno condizionato l’attenzione e le loro personalissime scelte.
Quanto sopra basterebbe a stracciare l’immoralità della frase controversa?
Forse sì, ma non sarebbe sufficiente a riabilitare il marchio NOT MADE IN CHINA, che resta una proposizione descrittiva, quindi inidonea di per sé a distinguere ai sensi dell’articolo 7 co. 1 lett. b) e c) del Regolamento EU 2017/1001.